Lavorare con risorse economiche e umane è un’esperienza che ci espone ad alte soddisfazioni, ma spesso anche a frequenti frustrazioni. La nostra cultura europea, fondata sul singolo e sulla nota separazione cartesiana tra corpo e mente, ci spinge ad attribuire sempre agli altri le fonti di frustrazione e insuccesso, quello che qui andiamo a chiamare “negatività”.
Per negatività intendiamo la massa di problemi spesso accompagnati da coloriture di ansia e stress, gli episodi frequenti di divergenze e conflitti, quella patina di malessere tipico di ogni gruppo o contesto, infine gli errori di esecuzione operativa. Un vero e proprio tabù. Sono così presenti e diffusi gli episodi, ma al contempo sono così altamente lasciati al caso, senza una sufficiente dotazione di nuove competenze: quello che con alcuni colleghi abbiamo chiamato “capacità negativa” e “metodo antinegatività”. La negatività è una manifestazione/fenomeno dissonante e disfunzionale, diffuso per via
trasversale:
– non occasionale, bensì frequente;
– non localizzabile, bensì diffusa a tutti i livelli;
– non di un soggetto solo, bensì ognuno porta la sua specifica.

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